La passione del Fatto per Xylella.

La passione del Fatto per Xylella.

CAVEAT: QUELLA CHE SEGUE E’ UNA CAVALCATA LUNGA, MA ANCORA PARZIALE, DELLA STORIA DELLA XYLELLA INFAME (copyright Luciano Capone) ATTRAVERSO LE LENTI DEL FATTO QUOTIDIANO. NON COMINCIATE A LEGGERE SE NON AVETE UN PO’ DI TEMPO.

Come ha recentemente scritto Luciano Capone sul Foglio, per capire bene come sia stato possibile arrivare alla devastazione del Salento da parte di un batterio da quarantena per il quale era già noto cosa si dovesse fare, non si può trascurare il ruolo di certa stampa e di certi nostrani segugi del giornalismo di inchiesta.

Un ruolo di primo piano è stato giocato in particolare da un giornale – il Fatto Quotidiano – che, allineato spesso con la forza politica che più ha tratto beneficio dal cospirazionismo in materia, ha fin dall’inizio ed in maniera ostinata difeso ogni idea che servisse a dimostrare che, in fin dei conti, non ci fosse da fidarsi dei ricercatori e che qualcosa – Le agromafie? gli affari di Monsanto? Quelli dei palazzinari? – dovesse essere dietro l’improvvisa comparsa della fitopatia.

Si tratta di un ben noto meccanismo, chiamato il bias del messagero: chi porta una notizia cattiva per primo, è accusato di essere egli stesso l’agente del male che si annuncia e di portare notizie false o esagerate per proprio interesse – come è possibile che i ricercatori sapessero? E come mai, se sapevano, hanno agito con ritardo? E così via, in infinite sfumature di nero (il colore dell’ottenebramento mentale).

Vale la pena di ripercorre insieme quanto il Fatto è andato nel tempo snocciolando, sia per memoria storica, sia per meglio capire perché, per quel giornale, è ormai impossibile spostarsi dalla posizione in cui certi suoi collaboratori lo hanno piazzato. Ecco quindi una breve antologia.

Si parte dall’ormai lontano 3 novembre 2013. I ricercatori pugliesi avevano appena pubblicato l’identificazione del batterio sugli ulivi, e la giornalista Tiziana Colluto scrisse un articolo che non era dissimile dalla posizione della comunità scientifica, ed anzi riferiva delle posizioni di Guario, a capo dell’osservatorio fitosanitario ragionale.

Come si può notare, la posizione iniziale del giornale era ben lontana da quella che via via sarebbe diventata la bandiera complottista: tanto da riportare, pochi giorni dopo ed a firma della stessa giornalista, le posizioni dell’Unione Europea circa l’abbattimento degli ulivi lamentando la mancanza di risorse per attuarle, come si vede qui sotto.

Le cose cominciano a cambiare all’inizio del 2015, con l’arrivo del commissario straordinario generale Silletti e la prospettata imposizione non solo dello svellimento degli ulivi, ma anche dell’uso di insetticidi per contenere il vettore (che nel frattempo era stato identificato dai ricercatori).

Questi sono tre articoli sempre a firma di Tiziana Colluto, che riportano con toni sempre più allarmistici e negativi le notizie che allora arrivavano.

Intanto, i titoli: sempre e solo “Strage di ulivi in Puglia” come apertura (si vedano anche tutti gli articoli successivi in questo post fin dall’inizio, per contare quante volte si usano queste o simili aperture).
Comunque, in questa prima fase ad essere contestate sono le misure; non l’esistenza stessa dell’epidemia di disseccamento rapido o la sua correlazione con la batteriosi.

Tuttavia, ben presto, sulla scorta delle notizie che cominciano a filtrare circa un’indagine della magistratura, il tono si modifica, ed emerge una caratteristica cui purtroppo ci ha spesso abituato il Fatto su Xylella: il complottismo associato al giustizialismo. Lo si vede per esempio in questo articolo del 17 marzo 2015, in cui si comincia ad accennare ad un possibile dolo. E’ una delle ipotesi alla base delle indagini della procura di Lecce, e si attaglia perfettamente al respiro del quotidiano diretto da Travaglio.

Oltrettutto, queste stesse ipotesi – su suggerimento diretto proprio dei cospirazionisti pugliesi, che si vantano di aver contribuito alla sua stesura – finiscono in un capitolo del rapporto agromafie di quell’anno, che porta la prestigiosa firma di Giancarlo Caselli; il quale scrive infatti il 2 marzo 2015 sul Fatto della necessità di fare chiarezza (senza tuttavia raggiungere le vette di negazionismo complottista presenti nel rapporto stesso).

L’articolo di Caselli è tutto sommato prudente; tuttavia, è indicativo proprio delle difficoltà che separano cultura giuridica e cultura scientifica, perché la prima spesso non tiene conto delle pubblicazioni scientifiche anche internazionali, che già all’epoca per esempio indicavano la correlazione tra batterio e malattia (per esempio questo articolo, in cui si esaminano 50 ulivi sintomatici e 50 non sintomatici nei campi di Gallipoli; e ve ne erano altri, oltre al fatto che si sarebbero potuto contattare esperti che già allora avevano disponibili in tutto il mondo i dati che poi sarebbero stati pubblicati di lì a poco).

Intanto il Fatto, come è suo solito, comincia a spostarsi sempre di più sulle ipotesi della procura (in questo caso quella di Lecce), senza degnarsi di approfondire in proprio la questione (e forse, visti i risultati successivi, sarebbe stato meglio così); lo stesso giorno in cui riporta l’articolo di Caselli, appare anche questo pezzo della Colluto.

Pochi giorni prima, e qui si vede la trasformazione dalle posizioni iniziali, il Fatto aveva persino pubblicato uno scritto del cantante Nandu Popu, quello che per esempio straparlava dell’ “asse Brasile-Israele” da cui derivava “il killer per sostituire i nostri ulivi con ulivi di laboratorio”.

Giustizialismo e complottismo fusi tra loro, con ipotesi di dolo da parte dei ricercatori e psichedelici voli nell’immaginario negazionista, come ho avuto modo di scrivere con Donatello Sandroni e qui ribadisco: così vediamo il Fatto già definitivamente posizionato, oltre 4 anni fa, in tema di Xylella.

Manca l’ingrediente finale, che il Fatto raccoglie pochi giorni dopo: esisterebbero (nel 2015!) fantomatiche cure naturali per guarire gli ulivi, e quindi non ci sarebbe bisogno di abbattere le piante.

Ci si chiede come mai, se i metodi naturali erano disponibili nel 2015, oggi siamo nella situazione che il ministro dell’agricoltura Centinaio ha potuto recentemente verificare sorvolando le distese di alberi scheletriti con l’elicottero. Ma il Fatto, che più tardi insisterà nel sottolineare la mancanza a suo dire di prove scientifiche della correlazione tra batteriosi e sintomi di disseccamento, non si sa basandosi su quali pubblicazioni scientifiche del tempo, insiste e rilancia, perché ormai la linea è stabilita: raccontare senza approfondire qualunque storia alternativa a quella nel frattempo faticosamente disvelata dal lavoro dei ricercatori.

Siccome però, a metà del 2015, non filtrano ancora notizie dalla procura di Lecce, e vi è necessità di gettare fango sui ricercatori che non si piegano alle “verità alternative”, si cercano appigli utilizzando il classico repertorio dell’antirenzismo militante, attaccando in una Expo e ricercatori che lavorano su Xylella.

Intanto, arriva dicembre 2015; visto che il filone Expo-IAM non è servito, si cerca ogni altra possibile accusa infamante per colpire i ricercatori o comunque per esplorare altri utili filoni cospirazionisti, con gli articoli della solita Colluto e di Luisiana Gaita.

Chiunque voglia scrivere su Xylella, mettendo in dubbio la ricerca, i ricercatori, l’operato delle istituzioni, è benvenuto; per cui negli stessi giorni si ospitano ancora scritti come quello che segue.

Pochi giorni dopo i ricercatori ricevono l’ormai tristemente famoso avviso di garanzia dalla procura di Lecce; e finalmente, il Fatto può come suo costume commentare le carte di una procura, assolvendo o (molto più di frequente) condannando gli indagati sulla base di un processo mediatico.
Entra in campo quella che apparentemente dovrebbe capire di cose scientifiche, una collaboratrice free-lance che diventerà ben nota per quanto scrive su Xylella: Laura Margottini.

A gennaio 2016, esce un suo articolo che riporta, come al solito acriticamente, quanto ipotizzato negli atti dalla Procura di Lecce.

Peraltro, vi è un interessante aspetto in questo primo articolo: siccome Giuseppe Surico e colleghi – cioè i consulenti della procura, che non si vuole sconfessare – hanno ritrovato Xylella negli alberi infetti, non si attacca – come poi avverrà – frontalmente il risultato ottenuto dai ricercatori di Bari, e si rilancia l’ipotesi (dei complottisti e della Procura) che vi siano più popolazioni diverse di Xylella in Puglia. Naturalmente, quando questa ipotesi sarà smentita – dallo stesso Surico, oltre che dal resto della comunità scientifica – ci si guarderà bene dal comunicarlo.

Intanto, il Fatto rilancia complotti su complotti: guardate per esempio questo, che è di agosto 2016. E’ da incorniciare come esempio nei corsi sui bias cognitivi che affliggono la mente cospirazionista.

Siccome poi – che disdetta! – la procura di Lecce è costretta a dissequestrare gli ulivi, per mancanza di ogni evidente ragione a continuare il sequestro, Laura Margottini parte invece all’attacco a testa bassa dei ricercatori baresi, con il pezzo riportato di seguito.

Questo articolo è interessante perché, nonostante sia molto rilanciato dai soliti cospirazionisti, contiene falsi fattuali, mai successivamente corretti o riconosciuti. Per esempio, per accreditare l’idea che siano solo pochi ricercatori ad affermare la connessione tra il batterio ed il disseccamento degli ulivi, la Margottini scrive che:

“Le ricerche su Xylella sono state condotte da CNR, università Aldo Moro, Centro Basile Caramia, IAMB dell’area di Bari. Nonostante l’emergenza, il resto della comunità scientifica italiana non è stata coinvolta”.

In realtà, fra i gruppi italiani che avevano lavorato nei campi e già pubblicato i risultati prima di agosto 2016 (a marzo dello stesso anno), c’era anche il gruppo dell’università di Firenze, che Margottini conosceva per aver citato, come abbiamo visto, a proposito delle indagini della procura di Lecce. Inoltre, ricercatori delle università di Foggia e della Basilicata avevano campionato gli ulivi infetti e avevano pubblicato i loro dati sulla diversità genetica del batterio ad aprile 2016.
Ancora: sempre fra gli italiani, già dal 2015 vi erano ricercatori dell’università di Lecce a campionare gli ulivi – come evidente dalla successiva pubblicazione del 2017 in cui questo fatto è riportato.
Se poi andiamo a considerare i lavori di altri gruppi italiani, che pur senza essere “scesi in campo” negli uliveti pugliesi studiavano l’epidemia pugliese proprio per fronteggiare l’emergenza (già chiara allora), anche ricercatori di Napoli avevano già pubblicato sull’epidemia di Xylella (modellistica e possibile effetto del clima).
Naturalmente, nel computo andrebbero inclusi anche i gruppi internazionali (che pure avevano già pubblicato in tema di epidemia pugliese e di rilevamento di Xylella su ulivi sintomatici); ma alla Margottini interessavano i gruppi italiani (esclusi gli odiati baresi), e quindi per carità di patria mi sono limitato ad alcuni fra quelli, giusto per fornire l’evidenza di quanto i campi e i laboratori fossero affollati da ricercatori diversi da quelli di Bari, tutti a studiare Xylella.

Più che le ricerche, ad essere fallate sembrano certe affermazioni in questo articolo; e se è vero che all’epoca non erano stati pubblicati dati formali che indicassero il soddisfacimento dei postulati di Koch (come sottolineato ossessivamente non solo in quell’articolo), è pur vero che tutti gli studi disponibili dimostravano già una forte correlazione, come si poteva facilmente notare se si fosse fatta una revisione della letteratura allora disponibile anche solo parziale.

Tuttavia, non contenta di aver suggerito che i dati disponibili fossero fallati – ovviamente, come abbiamo visto, senza prendersi la briga di discutere o considerare davvero nemmeno gli articoli scientifici peer-reviewed – la giornalista del Fatto passa pochi giorni dopo ad utilizzare impropriamente i dati del monitoraggio regionale, sostenendo che le basse percentuali di olivi infetti nel database della regione significhino che in realtà il batterio non può essere responsabile dell’epidemia. Come ripetuto fino alla noia, si tratta di un uso improprio di quei numeri, visto che il campionamento avviene lontano dalle zone già pesantemente infette, proprio allo scopo di verificare se il batterio sia arrivato in zone dove precedentemente non era presente; ma questo meme complottista rimarrà per sempre nell’armamentario dei negazionisti, forse anche a causa di articoli come quello qui sotto – la cui notevolissima apertura in prima pagina è spettacolare.

La regione cerca di chiarire le idee con un comunicato in cui l’articolo viene sonoramente smentito; ma anche in questo caso, nessun pentimento, niente scuse per aver fuorviato il pubblico usando in maniera impropria questi dati.
Si passa invece all’attacco diretto ai ricercatori, insinuando due giorni dopo conflitti di interesse inesistenti (ed infatti mai provati da nessuno); il giochino è sempre quello di insinuare qualcosa, e lasciare poi all’accusato il compito di provare il contrario e smentire.

I ricercatori, questa volta, rispondono, sia sul conflitto di interessi inventato dalla giornalista che sui presunti “strani errori” (strani forse per una laureatasi con buon ritardo in matematica, che non ha mai pubblicato nulla di scientifico e che certo non ha nulla studiato di biologia).
Naturalmente, lungi dal riconoscere le sue cantonate o dal commentare le risposte dei ricercatori, la giornalista del Fatto, per cui evidentemente la cosa è diventata una questione personale, rilancia appena due giorni dopo, questa volta accusando direttamente l’EFSA.

Anche in questo caso, la cantonata è evidente: si dice che EFSA abbia finanziato e approvato una ricerca fatta a Bari, senza che l’esito sia stato vagliato dalla comunità scientifica internazionale – come se EFSA non fosse fatta da scienziati e come se la revisione dei pari, effettuata dai ricercatori EFSA competenti in materia e mettendoci nome e cognome, non sia valida o sia meno vera di quella fatta da 2-3 revisori anonimi prima di una pubblicazione. Per non parlare dei Lincei, che avevano indipendentemente valutato quegli stessi dati e risultati e li avevano trovati validi: dove sta scritto che ci vuole il logo di Elsevier o di un altro grande editore scientifico perché i pari possano fare una revisione e la comunità scientifica possa esprimere una valutazione? Solo chi non ha nessuna esperienza di come funzionano queste cose può pensare una simile amenità, e conferire alle riviste l’esclusiva della revisione scientifica.

Ma ormai, come si è scritto sul Foglio, in tema di ulivi pugliesi il quotidiano diretto da Marco Travaglio dà l’idea di essere condannato a correre sempre più veloce lungo una china sgangherata.

Sicché non desta meraviglia come, insistendo sull’uso sconsiderato dei dati del monitoraggio come già fatto (ricevendone smentita) nel 2017, si scrive ad aprile 2018 ancora una volta la fesseria secondo la quale la regione Puglia avrebbe negato l’epidemia in corso.

Comunque, questo è niente in confronto a quello che viene pubblicato di lì a poco dal Fatto, a giugno, a firma dell’ex dirigente CNR Pietro Perrino: una tale congerie di incredibili corbellerie (incluso il complotto di Pasteur alla base della medicina moderna, ma soprattutto l’effetto di presunte vibrazioni nel provocare il disseccamento) da far vincere a questo pezzo il premio per l’articolo ascientifico 2018 promosso dal CICAP (fondato da Piero Angela).

Non solo: ma di fronte all’indignata reazione della Società Italiana di Biologia Vegetale e della Società Italiana di Genetica Agraria, se ne pubblica sì la lettera … ma con con il titolo che segue.

Un titolo come questo, nessuna marcia indietro e niente scuse; poi certi giornalisti ti dicono che non gli si risponde, poverini.

Anzi: tanto per ribadire le posizioni, la Margottini pubblica poco dopo un ulteriore articolo, in cui si ribadisce ancora che “non vi è alcuna certezza”.

Ora io non so di che tipo di certezza abbiano bisogno la Margottini e quelli come lei; so però che a Luglio 2018 vi era almeno questo livello di certezza , cioè decine di articoli che trovavano la correlazione, il postulato di Koch dimostrato e la stessa correlazione osservata in tre diversi paesi nel mondo, come testimoniato dalle pubblicazioni citate e da altre (che per brevità non riportavo – ma sono pronto a produrle in qualunque momento).

Niente, certe persone e certi giornali sono impermeabili ai fatti; sicché ecco di seguito apparire all’inizio del 2019 un articolo per insinuare presunti interessi economici dietro la guerra al batterio (mai veramente combattuta anche a causa della disinformazione, purtroppo).

In questo caso, si attacca l’unica speranza attualmente concreta di riuscire a salvare il paesaggio olivicolo pugliese – e forse dell’intero mediterraneo: si parla di “grande affare dei reimpianti”, cercando ancora una volta di gettare fango su ricercatori, tecnici, istituzioni. Dimenticando che la stessa strada – quella delle varietà resistenti alla Xylella – è battuta in tutto il mondo, con finanziamenti anche maggiori e per diverse essenze di interesse agronomico, come per esempio nelle Baleari per il mandorlo e il carrubo, in Brasile per il pruno, o in Florida per la vite. Tutti ricercatori in conflitto di interesse, ad inventare strategie senza futuro pur di incassare denaro pubblico nei propri istituti?

Arriviamo quindi ai nostri giorni, quando nel commentare una sentenza di archiviazione (peraltro vergognosa, come è stato più volte dimostrato da me e da altri), invece di chiedersi cosa ne sia stato delle ipotesi di epidemia colposa, di danno ambientale e di altre amenità, si dà man forte alla procura di Lecce nel gettar fango sui ricercatori attraverso articoli come questo.

Naturalmente, è assolutamente trasparente che per la Xylella la procura di Lecce e il Fatto Quotidiano siano sulla stessa barca e pertanto sposino le stesse bislacche teorie e usino gli stessi argomenti contro i ricercatori, pur in presenza di un’assoluzione, visto il cortocircuito abbondantemente sottolineato da Luciano Capone sul Foglio.

E siccome c’è sempre qualcosa di nuovo cui aggrapparsi, ecco che il fatto che vi siano analisi contestate costituisce argomento per invalidare un monitoraggio su centinaia di migliaia di alberi o l’intera letteratura scientifica del settore – senza ovviamente andare a vedere come stanno davvero le cose (e aspettiamoci pure novità in futuro, ormai potrebbero scrivere di tutto).

Per finire, vorrei citare l’ultimo fuoco d’artificio: la ripresa da parte di un anonimo sul Fatto Quotidiano del concetto che il glifosate possa aver causato il disseccamento degli ulivi in Puglia.

C’è bisogno di rispondere seriamente pure a cose come queste, o possiamo permetterci un po’ di risate ed ironia, come abbiamo fatto con Donatello Sandroni?

A questo punto, paziente lettore, credo tu possa essere nella posizione di giudicare davvero dove sono i fatti e dove la finzione, e quale sia il livello di chi pretende di scrivere di scienza e di scienziati sotto la guida di quel bias detto del “pensiero motivato”; non confido, tuttavia, che sul Fatto si finisca di pubblicare corbellerie sulla Xylella, anche se spero che almeno esse siano riconosciute per quello che sono.

Enrico Bucci

Data lover, Science passionate, Fraud buster (when lucky...)

3 pensieri su “La passione del Fatto per Xylella.

    1. Come mai non si apre un processo contro i responsabili de Il Fatto per: calunnia e diffamazione, diffusione di notizie false atte a creare danno pubblico e sabotaggio all’economia dello STATO o della REGIONE PUGLIA e altro che non saprei precisare (non sono esperto di legge)? Siamo nella solita solidarietà ad una parte politica che cavalca lo scontento e l’ira per ragioni elettorali? Forse un Movimento aveva bisogno di attizzare e ora copre i peones che hanno gridato e creato lo scandalo? Ma forse si tratta di preconcetta ostilità a qualsiasi atto di governo capace di agitare l’elettorato.

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