Sui “nuovi indizi” di una fuga da laboratorio del virus SARS-CoV-2

Sui “nuovi indizi” di una fuga da laboratorio del virus SARS-CoV-2

Ogni tanto con qualche collega ci scambiamo attoniti messaggi, a causa dell’uscita sulla stampa nazionale di qualche ennesima notizia, la quale, pur poggiando su fragilissime basi e persino senza prove verificabili, va a solleticare quello che almeno una parte del pubblico si aspetta, e sembra anzi disegnata apposta a questo scopo.

È questo il caso di un’intervista al prof. Palù, appena pubblicata sul Corriere della Sera, che riporta il seguente virgolettato nel titolo: “Covid scappato dal laboratorio, ci sono nuovi indizi. Così potrebbe essere sfuggito il virus”.

Una notizia del genere, si capisce, meriterebbe di riportare almeno la fonte di prove, evidenze e dati in cui consisterebbero questi nuovi indizi; invece, sebbene si affermi che la cosa sarebbe corroborata da un recente lavoro di Palù, esso non è identificato nel testo dell’intervista.

Con Marco Gerdol abbiamo quindi deciso di provare a rintracciare quale potrebbe essere, partendo dall’elemento che viene addotto come principale supporto alla tesi sostenuta, e che viene così evidenziato: “Nel gene che produce la proteina Spike (quella che il virus utilizza per agganciare la cellula da infettare), appare inserita una sequenza di 19 lettere appartenente ad un gene umano e assente da tutti i genomi dei virus umani, animali, batterici, vegetali, sinora sequenziati. La probabilità che si tratti di un evento casuale è pari a circa una su un trilione.”

Ora, il 21 febbraio 2022 è comparso un articolo di “prospettiva” (perspective) su una rivista scientifica di non primissimo piano, a firma tra gli altri proprio del professor Palù, in cui si afferma che una particolare sequenza del gene della proteina Spike lunga proprio 19 basi, codificante per il cosiddetto “sito di taglio della furina”, sarebbe “altamente inusuale”, perché la probabilità che essa sia presente per caso nel genoma del virus (lungo 30.000 basi) è calcolata pari a 3,21 su 100 miliardi, mentre invece una sequenza identica si trova proprio in un brevetto di Moderna, antecedente di vari anni alla pandemia, e da nessuna altra parte.

Questa affermazione, il cuore dell’articolo, è sia sbagliata che fuorviante, per una serie di motivi che con Marco Gerdol (e altri ricercatori nel mondo) abbiamo evidenziato già in passato, e che ricapitolo di seguito.

Trascurando il fatto che, come si può notare dai calcoli riportati, la probabilità indicata non è quella di apparizione della sequenza in natura, ma quella congiunta della simultanea apparizione per puro caso in due database diversi, il punto principale è che in natura la frequenza di una sequenza di 19 basi non va calcolata mettendo al denominatore tutte le possibili sequenze, perché solo una piccolissima frazione di queste corrisponde ad un coronavirus vitale, e una frazione ancora più piccola ad un coronavirus vitale di tipo SARS-CoV-2. La nostra probabilità, quindi, va calcolata su un insieme molto, molto più ridotto di sequenze possibili biologicamente, e non sull’insieme di tutte le sequenze componibili a caso: ci interessa infatti la probabilità che vi sia una certa sequenza di 19 basi nel piccolo sottoinsieme di sequenze corrispondenti ad un virus SARS-CoV-2 vitale, non nell’intero universo dei genomi di 30.000 basi che potrei comporre a caso.

Fra l’altro, in realtà – come riportato nel lavoro stesso – la sequenza davvero diversa fra SARS-CoV-2 e gli altri genomi considerati è di 12, non 19 basi; le basi “in più” sono comuni anche a molti altri sarbecovirus, e la loro inclusione nel discorso fatto dagli autori del lavoro è davvero incomprensibile ai fini del calcolo della probabilità casuale di emersione della differenza fra SARS-CoV-2 e gli altri virus.[1] Questo significa che la probabilità di emersione della differenza specifica di cui stiamo parlando – la sequenza di taglio della furina – è in realtà ordini di grandezza più alta, perché riguarda una sequenza più corta di quella su cui si fanno i conti nel lavoro.

L’universo di sequenze su cui calcolare la probabilità di emersione della sequenza di taglio della furina, così come la lunghezza della sequenza considerata posta a 19 basi invece che 12, sono quindi stati presi erroneamente; ma diamo per buona la scelta, e diamo anche per buono il calcolo (errato) che è stato fatto, assumendo quindi che la sequenza di taglio della furina di SARS-CoV-2 si possa generare solo 3,21 volte ogni 100 miliardi di genomi virali diversi.

Ora, il punto è che in ogni singolo individuo infetto, al picco della carica virale vi sono da 1 a 100 miliardi di particelle virali; siccome ogni evento di copia del virus genera con una probabilità 1 su 30 un discendente con almeno una base diversa nel proprio genoma, è facile fare due conti e vedere come anche se la probabilità di ottenere la sequenza di 19 basi osservata in SARS-CoV-2 fosse quella piccolissima descritta dagli autori del lavoro, il suo ottenimento per mutazione casuale sarebbe certo.

Siamo quindi a poter dire che la probabilità di emersione della sequenza di taglio della furina non è quella riportata dal prof. Palù e dai suoi coautori, né per le assunzioni fatte né per il calcolo usato; ma, se anche la probabilità fosse quella, in ogni caso il tasso di mutazione casuale ed il numero di eventi replicativi di SARS-CoV-2 sarebbero ampiamente sufficienti a generare qualsiasi sequenza di 19 basi si voglia. Si tenga poi presente che questa sequenza è vantaggiosa per il virus non solo nell’uomo, ma anche almeno in alcuni animali, come i visoni e i criceti, animali che sono stati dimostrati capaci di infettare l’uomo (negli allevamenti di visone e nella recente epidemia di Hong Kong); dunque la forza della selezione naturale può aver agito ben prima che il virus arrivasse nell’uomo, a generare la sequenza di taglio della furina osservata. Che questa forza esista è chiaro dal fatto che sequenze di taglio della furina sono frequenti nei coronavirus, e sono state osservate diverse sue versioni indipendenti in diverse specie. Anche nell’uomo, inoltre, il sito di taglio della furina è cambiato più volte dall’inizio della pandemia, dando origine a nuove varianti più o meno utili al virus; anzi proprio la zona della proteina Spike in cui ricade la sequenza in questione è oggetto di continue mutazioni, come dimostra l’inserzione di 15 basi nella variante AT.1, che ha circolato per un po’ in Russia.

Dunque, abbiamo che non solo è interamente possibile generare in maniera casuale la frequenza incriminata, ma essa ricade in un punto del genoma virale dove le mutazioni sono frequenti, ed è infine selettivamente vantaggiosa per il virus sia in animale che in uomo (come lo sono sequenze a funzione simile in altri coronavirus), così che la selezione naturale è ancora oggi all’opera, generando varianti diverse.

Vi è a questo punto da chiedersi come mai, viste le condizioni pregresse, non abbiamo ancora mai trovato questa esatta sequenza in virus simili a SARS-CoV-2, ma diffusi negli animali – fra quelli, insomma, che potrebbero essere i progenitori del virus attuale.

Vi sono diversi motivi per cui ciò può verificarsi.

Il primo è di natura statistica: il nostro campionamento è e sarà sempre insufficiente, perché la diversità virale (come abbiamo visto dai numeri citati) è enorme, e non è affatto garantito che le poche sequenze ottenute in animale siano sufficienti a ritrovare un progenitore di SARS-CoV-2, che in animale potrebbe essere anche di non particolare diffusione.

Il secondo è di natura paleogenetica: allo stesso modo in cui noi non troviamo Homo erectus se campioniamo oggi, così potremmo non trovare mai il progenitore di SARS-CoV-2 perché è estinto, soprattutto considerando l’enorme numero di generazioni di un virus in pochi anni.

Il terzo è di natura evolutiva: la sequenza di taglio della furina potrebbe essere stata acquisita per mutazione casuale direttamente in esseri umani, e potrebbe quindi non essere osservabile indipendentemente in animale.

A questo punto, dovrebbe essere chiaro che uno scenario di evoluzione naturale della sequenza di taglio della furina è perfettamente possibile; e finchè tale possibilità non sarà smentita da dati solidi, non vi è ragione di assumere il contrario.


[1] Tuttavia, essa è funzionale a mostrare la similitudine con la sequenza del brevetto di Moderna, e per questo gli autori insistono nel riportarla; ma prendere una sequenza lunga 19 basi anziché 12 indebolisce l’argomento della similitudine specifica fra la sequenza nel brevetto e quella in SARS-CoV-2, visto che 7 basi su 19 sono comuni a moltissimi sarbecovirus, oltre che al brevetto in questione.

Enrico Bucci

Data lover, Science passionate, Fraud buster (when lucky...)

2 pensieri su “Sui “nuovi indizi” di una fuga da laboratorio del virus SARS-CoV-2

Rispondi

Scopri di più da Cattivi Scienziati

Abbonati ora per continuare a leggere e avere accesso all'archivio completo.

Continue reading