Così riciclò Bellavite

Enrico Bucci, Biochimico, Temple University – USA
Pellegrino Conte, Chimico, Università di Palermo
Salvo Di Grazia, Medico chirurgo, ULSS2 Marca Trevigiana
Riassunto.
Il plagio scientifico è un problema attuale e molto studiato. Consiste nel copiare e usare di nuovo, riciclare, intere parti di uno studio per comporne uno diverso. Come si può capire, questo è un comportamento molto scorretto, dannoso per la ricerca e che dimostra atteggiamento antiscientifico, tanto da essere considerata una vera e propria forma di frode scientifica, perché con il plagio si “gonfia” l’evidenza a favore di una propria idea. Questo comportamento può avvenire o con il riciclo di propri lavori o con quello di altri ed è spesso usato in studi di basso livello e in riviste predatorie, allo scopo di aumentare il numero di propri lavori (visto lo sforzo minimo nel produrre studi “copiati”). Ovviamente, per definire “plagiato” o riciclato uno studio, esistono diversi criteri e anche dei software che li analizzano automaticamente. Devono essere ripetute un certo numero di parole, di frasi, di successioni di frasi, con regole stabilite e precise. Analizzando uno degli ultimi studi sugli effetti dell’omeopatia si è scoperto come questo fosse successo in maniera ripetuta ed estesa, soprattutto da quando l’autore ha pubblicato in riviste predatorie. Utilizzando un software (ithenticate o altri, ma si può verificare anche personalmente, vista l’entità del gesto) si noteranno ripetuti blocchi di testo riciclati nei vari studi dell’autore, cosa ripetuta nel tempo. Un altro aspetto preoccupante emerso da questa analisi è il fatto che l’autore ha deliberatamente eliminato informazioni importanti nei testi da lui usati per le pubblicazioni, informazioni che cambiano radicalmente le caratteristiche degli studi e quindi le conclusioni che lui descrive in maniera personale e non attinente alla realtà. Stiamo analizzando quindi un vero e proprio lavoro di manipolazione dei dati non dichiarato, fatto molto grave e da rendere pubblico; se poi l’abbondante riciclo di testo ritrovato costituisca plagio e frode scientifica, lo lasciamo decidere al lettore.
Introduzione.
Una delle tecniche attraverso le quali la pseudoscienza manipola l’evidenza ad essa favorevole è quello di utilizzare riviste cosiddette “predatorie” per ingrossare le fila delle pubblicazioni in supporto. Queste riviste hanno la precipua caratteristica di garantire la pubblicazione di qualunque sciocchezza in cambio di denaro, producendo dei documenti che hanno tutta l’apparenza di pubblicazioni scientifiche, salvo il fatto che essi non sono passati attraverso una revisione dei pari (peer review) degna di questo nome, e dunque sono privi di ogni garanzia di qualità.
È questo il caso dell’ultima pubblicazione in supporto dell’uso dell’omeopatia prodotta dal pensionato ed ex medico Paolo Bellavite, il quale crede di poter dare supporto all’uso dell’omeopatia invece che degli antibiotici anche nell’otite media acuta, la condizione che ha portato a morte il piccolo Francesco a cui il medico omeopata Mecozzi ha negato gli antibiotici in favore di rimedi omeopatici.
Questa pubblicazione, approvata in una settimana dalla sottomissione, è stata già analizzata da due gruppi del Patto Trasversale per la scienza, dedicati rispettivamente all’omeopatia e all’integrità nella ricerca scientifica, che ne hanno sottolineato le numerose manchevolezze anche di contenuto; tuttavia, un aspetto finora non è stato trattato, e sarà discusso di seguito.
Detta in due parole, la review risulta consistere in un collage di testi riciclati molteplici volte, le cui fonti temporalmente più prossime sono lavori dello stesso Bellavite, ma che in realtà possono essere ricondotti originariamente a testi di altri autori.
Inoltre – e questo è forse un aspetto ancora più grave – vi sono alcune evidenze di riuso selettivo dei testi originali, fatto in modo da distorcerne gravemente il significato originario e da fornire evidenze inesistenti alle ipotesi di Bellavite che l’omeopatia sia migliore del placebo – una forma di falsificazione inaccettabile.
Attraverso questi due mezzi – la pubblicazione predatoria e il riutilizzo di materiali già pubblicati, anche dagli stessi autori – si ottiene il doppio scopo di produrre lavori apparentemente “nuovi” in supporto dell’omeopatia e di aumentare citazioni e impatto dell’autore principale, il quale non a caso ha anche recentemente vantato il suo H-index rispetto a quello di altri ricercatori critici del suo lavoro.
Riciclo testuale in Bellavite et al., 2019: analisi generale.
Una semplice analisi mediante software (ithenticate) permette di identificare larghe porzioni di testo riciclate all’interno del lavoro in questione.
Una semplice analisi mediante software (ithenticate) permette di identificare larghe porzioni di testo riciclate all’interno del lavoro in questione. Di seguito sono mostrate le aree di testo riciclate per ciascuna pagina, colorate secondo il gruppo di fonti che le contiene; le pagine della review sono mostrate consecutivamente in gruppi di tre. Si noti che per l’analisi sono state considerate solo quelle fonti che contengano almeno 100 parole in comune con la review in analisi, e non sono stati considerate valide identità testuali di meno di 5 parole consecutive. Dall’analisi è stata ovviamente esclusa la bibliografia della review.
Sebbene soventemente il software utilizzato possa non riconoscere alcune identità testuali – per esempio le parole spezzate per andare a capo interrompono il riconoscimento– si può notare che la gran parte del testo risulta ripreso da fonti precedenti.
In particolare, le zone evidenziate in rosso ed in magenta nel testo di Bellavite risultano essere presenti reiteratamente nelle seguenti fonti dello stesso autore:
Come è agevole notare, si tratta del grosso del testo della review; in particolare, la prima delle fonti elencate, che possiede la maggior quantità di testo in comune con la successiva review del 2019, già include 20 dei 41 lavori poi selezionati per la review del 2019, utilizzando nelle descrizioni identico testo.
Le due pubblicazioni più recenti (la prima e la seconda), come la review del 2019 che ne ricicla il testo, sono pubblicate su riviste che non sono nemmeno indicizzate da PubMed. La cosa è particolarmente interessante, in quanto nella review che qui si analizza, per giustificare il fatto che i lavori non indicizzati su PubMed non saranno considerati nell’analisi, è scritto testualmente:
“Our previous systematic review on the effect of homeopathy in immunological disorders also included non-peer-reviewed papers published until 2010, but in this report we have restricted the report to clinical trials and observational studies cited by PubMed, which is considered the most important search system of bibliographic resources, also for homeopathy and other CAMs [38-40]. As it is known (see for example https://www.nlm.nih.gov/lstrc/jsel.html), the scientific merit of a journal’s content is the primary consideration in selecting journals for indexing in PubMed, especially on the explicit process of external peer review and adherence to ethical guidelines. The publication of a paper in a journal cited by PubMed is not in itself a guarantee of quality, but it can be considered an important criterion of validity, since it is certain that the work was judged by experts in the field before is accepted.”
Peraltro, a parte l’indicizzazione su PubMed, va detto che il lavoro del 2011, come quello del 2019, è pubblicato su rivista predatoria.
Quello del 2008 è pubblicata sulla rivista di un editore indiano, sospetta ed infatti non presente nel DOAJ (Directory of Open Access Journals); infine, il lavoro del 2006 è stata pubblicato da un giornale del gruppo egiziano Hindawi, considerato almeno fino al 2010 predatorio[1] (e successivamente border-line).
Se si considerano oltre alle tre principali anche tutte altre le fonti identificate (cioè tutte le sorgenti per il testo colorato sovrapposto alle pagine della review nelle figure precedenti), appare evidente che la review del 2019 è ridondante, in quanto ricicla in massima parte identici testi precedenti (come visto, spesso pubblicati su riviste di bassa qualità o francamente predatorie).
Riciclo testuale in Bellavite et al., 2019: modus operandi.
La semplice analisi delle parti di testo riciclate, illustrata nella sezione precedente, non consente di identificare agevolmente se il riciclo testuale sia abitudine consolidata o eccezione da parte degli autori in questione.
Uno studio più approfondito, di tipo filogenetico, prevede l’identificazione delle eventuali sequenze di riciclo che hanno portato fino al testo che appare nella review del 2019. A titolo di esempio, si illustrerà quanto emerso per la pagina 5 della review in esame.
Il testo principale può essere considerato diviso in 4 blocchi, secondo la sua provenienza originale, come illustrato nell’immagine di seguito.

Per quanto riguarda il BLOCCO 1, esso risulta derivare attraverso 4 passaggi successivi di riciclo da un testo di Bellavite et al. del 2006, come illustrato di seguito (parti conservate con la review del 2019 in rosso; in blue parti originariamente conservate, che successivamente si perdono nei vari passaggi).
Per quanto riguarda il BLOCCO 2, esso risulta derivare attraverso 5 passaggi successivi di riciclo da un testo di Jacobs et al. del 2001, come illustrato di seguito.
Per quanto riguarda il BLOCCO 3, esso risulta derivare attraverso 4 passaggi successivi di riciclo da un testo di Bellavite et al. del 1995, come illustrato di seguito.
Infine, il BLOCCO 4 rappresenta un caso particolarmente interessante. Sebbene in questo caso i passaggi di riciclo testuale, a partire da un articolo di Zabolotnyii et al del 2007, siano soltanto 3, si noti la frase in giallo nel lavoro originale ripreso da Bellavite et al. Quella frase, che mostra come lo studio non sia un paragone tra omeopatia e placebo (ciò che servirebbe per affermare un’efficacia superiore al placebo dell’omeopatia), spiega come i pazienti, in entrambi i gruppi paragonati, abbiano assunto paracetamolo e altri farmaci da banco, in modo che il controllo tra i due gruppi è, di fatto, sporcato, e certo non si può assumere la superiorità dell’omeopatia rispetto al placebo. Proprio questa frase viene eliminata dal testo altrimenti riciclato in entrambe le due successive review pubblicate da Bellavite su due riviste predatorie. Questo comportamento, oltre che il riciclo testuale, essendo distorsivo è definibile come falsificazione per omissione. Di seguito si fornisce l’evidenza per quanto affermato.
Per avere una visione d’insieme, è possibile raggruppare i dati fin qui esposti circa l’origine dei blocchi di testo che costituiscono la pagina 5 della review di Bellavite recentemente pubblicata.
La situazione è ben rappresentata nello schema seguente, che illustra come l’autore sostanzialmente ricicli nelle sue varie pubblicazioni pezzi di testo propri ed altrui, ricomponendoli di volta in volta secondo necessità e con piccole variazioni.
Si noti come, considerando anche solo la pagina 5 della review del 2019, tutti i lavori sorgente posteriori al primo del 1995 contengono pezzi di testo riciclato, a testimonianza di un modus operandi reiterato.

Naturalmente, nello schema non si tiene conto del fatto che, come appena visto per il blocco 4, il riciclo di testo può essere selettivo e tale da distorcere il significato della fonte originale discussa nelle varie pubblicazioni dell’autore.
Conclusioni
Come è stato ampiamente dimostrato, la recente review pubblicata da Bellavite et al. su rivista predatoria rappresenta un evidente esempio di esteso riciclo testuale; inoltre, l’analisi ha consentito di evidenziare la costanza di tale comportamento nel tempo e anche l’abitudine, almeno recentemente, a pubblicare su riviste predatorie e non indicizzate su PubMed (contraddittoriamente considerata dallo stesso Bellavite standard di qualità).
Inoltre, almeno in un caso è stata documentata la distorsione dell’informazione originariamente pubblicata da altri autori, attraverso l’eliminazione nel testo riciclato di una parte importante di informazione, che indebolirebbe la tesi degli autori del riciclo; tale comportamento, in mancanza di chiare giustificazioni, si configura come falsificazione per omissione.
Il tipo di produzione scientifica esaminato non può quindi avere alcuna utilità nello stabilire l’efficacia dell’omeopatia, soprattutto se paragonato alle serie e metodologicamente solide meta-analisi di segno contrario pubblicate in altre sedi.
[1] Nel 2010, un sottoinsieme delle riviste Hindawi, editore originariamente egiziano, era nella lista dei giornali predatori di Beall, a causa della sospetta cattiva qualità dei processi di revision e della solecitazione via mail di manoscritti; successivemente, Beall rimosse il publisher dalla sua lista, definendolo “border line”. Da allora, il miglioramento di Hindawi è stato continuo, ma non sono mancati numerosi scandali che hanno interessato riviste pubblicate da quell’editore scientifico.
Il commento dell’ ex Professore Paolo Bellavite non si è fatto attendere, ed è questo (sul suo sito pubblico in FB):
TITOLO: “La pagliuzza
Qualcuno in rete si è arrabbiato perché ho criticato sua Maestà e ho citato 10 pubblicazioni favorevoli all’omeopatia.
Rosica la penna (anzi la tastiera) dicendo che avrei copiato parti di un testo ma sono solo miseri espedienti per non discutere nel merito.
La realtà è che si tratta di una rassegna (non un lavoro sperimentale) che aggiorna una mia del 2011 e quindi ho ripreso alcune parti del mio stesso testo ancora valide. Tutto qua.
Cercano di screditarmi, facciano pure, non sono i primi, ma la realtà scientifica che ho evidenziato rimane lì a smentire il loro ottuso scetticismo pseudo-scientifico.
L’omeopatia, piaccia o no ai criticoni della corte del Vate, continua a funzionare!
Io li perdòno, come già feci col calunniante medbunker, e mi permetto di dare un consiglio evangelico: “invece di guardare la pagliuzza nell’occhio di un altro….”.
Da notare la frase: “…e quindi ho ripreso alcune parti del mio stesso testo ancora valide”…Paolo Bellavite ammette il plagio. Ora dico: ma l’ex Professore di Patologia Generale si ricorda che l’allora Ministro della Pubblica Istruzione e Ricerca Scientifica Annette Schawan si era dimessa per l’accusa di plagio della tesi di dottorato dopo che l’Università di Dusseldorf le aveva revocato il titolo? Copiare parti pubblicate, anche se scritte dal medesimo autore del plagio, è vietao per il fatto che tutto il contenuto pubblicato non appartiene più all’autore ma alla rivista scientifica su cui ha pubblicato, a causa delle norme sul copyright, s cui l’autore stesso ha dato il suo consenso.
Evidentemente, il Bellavite sta grattando il fondo del barile… Ma perchè fa cosi? Per avere plauso e consenso. Di cui si bea, come un Dorian Gray omeopatico. E c’è chi lo approva. Ad esempio Gloria Alcover Lillo, condannata per avere consigliato terapie alternative contro il cancro. Si, proprio così…condannata (https://www.msn.com/it-it/notizie/italia/gloria-alcover-lillo-condannata-la-guru-omeopata-hai-il-tumore-bevi-la-tisana/ar-AABzLIU)
Non è solo una questione di copyright. Peraltro, il plagio e la violazione del copyright sono ben distinti (si può avere plagio senza violazione di copyright e viceversa).
Per il plagio valgono le linee guida internazionali, come quelle ORI, che nel caso di autoplagio (che non è l’unico riscontrato per Bellavite) recitano:
“should be evident, however, that from the perspective of the reader-writer contract, the recycling of one’s own previously disseminated content is not consistent with the principles of ethical writing.”
https://ori.hhs.gov/plagiarism-16a
Quello che mi amareggia è che è andato a coinvolgere l’immagine di altri colleghi in questo esecrabile comportamento. Meno male che io sono uscito fuori dalla pseudoscienza sbattendo la porta
Ho conosciuto Paolo Bellavite in un suo Congresso a porte chiuse a Verona qualche anno fa. Persona piuttosto piena di se’. E certamente sicuro dei fatti suoi. Questa sua ” scivolata” in un momento delicato come e’ il processo a Mecozzi, e’ segno che forse ha un po’ perso la bussola, dopo la scandalosa Retraction su PlOS One nel giugno scorso. Il plagio e’ un reato grave petche’ chi lo perpetra toglie fiducia alla sua attivita’ scientifica. Infatti, se uno prende la scorciatoia del plagio per pubblicare su una rivista che deve oerfino pagare, a nessuno puo’ essere tolto il dubbio che chi lo peroetra non si inventi metodi e dati sperimentali. Ora, se questa e’ scienza!!!
Certi personaggi “furbi” del riciclo vanno condannati dalla comunita’ scientifica perche’ annientano la fiducia nell’obiettivita’ scientifica. Danno di tale gravita’ che non ci sono parole per definirlo.
Il messaggio che l’ex Professor Paolo Bellavite (ex ma che si vanta di lavorare ancora all’Università di Verona prendendo non i soldi dal MIUR ma dall’INPS…) dovrebbe leggere è quello che ritrova su un Editorial di The Lancet del 2009 (https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(09)61536-1/fulltext) che qui traduciamo, alla buona, per l’ex Professore che, deduciamo noi con pietà cristiana, forse l’inglese lo conosce poco, se poverino è costretto a fare il copia incolla di parti già pubblicate:
Eccolo:
“L’intensa pressione a pubblicare per far avanzare le carriere e attirare fondi per le sovvenzioni, insieme alla diminuzione del tempo disponibile per ricercatori e clinici impegnati, può creare la tentazione prendere la scorciatoia e massimizzare la produzione scientifica. Le riviste vedono sempre più contributi in cui ingenti sezioni del testo sono state copiate da articoli precedentemente pubblicati dallo stesso autore.
Mentre il plagio – copiare da altri – è ampiamente condannato e considerato un furto intellettuale, il concetto di auto-plagio è meno ben definito. Alcuni hanno sostenuto che è impossibile rubare le proprie parole. Le scuse che gli editori sentono quando si confrontano gli autori sull’auto-plagio è che la stessa cosa può essere detta solo in così tante parole. Questo a volte potrebbe essere legittimo, forse per parti specifiche di un documento di ricerca, come una sezione sui metodi. Tuttavia, quando gran parte di un documento è una copiare parola per parola del testo precedentemente pubblicato, gli autori affermano di aver inavvertitamente usato esattamente la stessa formulazione di credibilità.
Esiste una chiara distinzione tra auto-plagio della ricerca originale e materiale di revisione. La ripubblicazione di grandi parti di un documento di ricerca originale è una pubblicazione ridondante o duplicata. La pubblicazione di parti separate dello stesso studio con sezioni di introduzione e metodi pressoché identiche in diverse riviste è la cosiddetta salami publication. Entrambe le pratiche sono inaccettabili e distorcono i risultati della ricerca. L’auto-plagio nei documenti di revisione o di opinione, si potrebbe dire, che sia qualcosa di meno di un crimine senza alcun danno reale fatto. È comunque un tentativo di ingannare redattori e lettori, e costituisce al massimo una forma di pigrizia intellettuale.
L’inganno è la questione chiave in tutte le forme di auto-plagio, anche nelle recensioni. Pochi editori ripubblicheranno consapevolmente un articolo che contiene grandi parti di materiale precedentemente pubblicato. Pochi lettori leggeranno felicemente lo stesso materiale più volte su riviste diverse. Un tentativo di ingannare equivale alla frode e non dovrebbe essere tollerato dalla comunità accademica.
Ex Professore la preghiamo tutti, per amor del cielo, di non far fare brutte figure ai suoi colleghi professori (in attivo) del posto in cui Lei dice di lavorare con i soldi dell’INPS…(strana cosa, davvero…)
Eh, ma non avete capito! Bellavite ha un nipotino con cui guarda la “paw patrol” e ha fatto suo il motto del cagnolino Rocky, quello col piccolo camion della spazzatura: “riciclare [i rifiuti, ndr] è meglio che buttare”!