Alla ricerca di una cura – parte 2

Alla ricerca di una cura – parte 2

In due parole.
Uno dei trattamenti sperimentali attualmente in valutazione in Italia è un anticorpo monoclonale capace di bloccare il recettore dell’interleuchina 6.

Questo farmaco antinfiammatorio, attualmente in commercio principalmente per il trattamento dell’artrite reumatoide, è stato identificato fra i possibili candidati per la mitigazione dei sintomi di COVID-19 dai ricercatori cinesi, che ne hanno avviato il 10 febbraio la sperimentazione in un trial su 188 pazienti; è stato, intanto, già approvato fra i trattamenti ammessi in Cina per combattere la malattia.

I ricercatori cinesi hanno informalmente comunicato che, su circa una ventina di pazienti trattati, si sono osservato ottimi risultati; per la valutazione definitiva bisogna aspettare la fine del trial, prevista per il 10 maggio prossimo.

Su un paio di pazienti napoletani in condizioni gravi, si è osservato un miglioramento della sintomatologia, dopo una sola infusione ed in pochissimo tempo.

Se dovesse risultare efficace (e lo sapremo anche grazie ad i ricercatori ed ai clinici Italiani, che stanno collaborando con il gruppo cinese per allargare la sperimentazione in Italia), il trattamento servirà a mitigare (e di molto) i danni polmonari nei pazienti con sintomi gravi, presumibilmente evitando una non trascurabile frazione di morti.

Per chi vuole approfondire.
E’ da tempo noto che alcune “sostanze” vengono rilasciate in grande quantità all’interno del nostro organismo quando bisogna accendere un processo infiammatorio, per esempio in risposta all’invasione di un patogeno.

“Sostanze” in biochimica significa spesso proteine specifiche, e, nel caso del processo che porta all’infiammazione, proteine di un tipo particolare, chiamate interleuchine.

Una delle più importanti interleuchine coinvolte nel processo infiammatorio è l’interleuchina 6 (IL-6). In risposta all’ingresso di un patogeno nel nostro corpo, alcune cellule specializzate del sistema immunitario – i macrofagi e i linfociti T – cominciano a produrre IL-6 e a rilasciarne in circolo grandi quantità. Questo attiva potentemente il sistema immunitario e scatena il processo infiammatorio (che è appunto parte della risposta immune), attraverso il legame fra IL-6 e un recettore specifico (IL-6R) sulle cellule del sistema immunitario e su altre specifiche popolazioni cellulari che devono essere attivate durante un processo infiammatorio. Fra queste ultime, particolare rilievo assume un preciso tipo di linfociti T, le cosiddette cellule T citotossiche (CTL), che hanno il compito di distruggere le cellule del corpo infettate dal virus e per questo sono armate con una batteria di potenti agenti tossici, in grado di perforare le membrane delle cellule infette da virus (o di altre cellule da eliminare, come quelle cancerose) e così di ucciderle prima che facciano danni.

Inoltre, proprio nel caso delle infezioni da virus respiratori, IL-6 è in grado di attivare le cellule della memoria immunitaria in grado di produrre anticorpi specifici per riconoscere virus già “incontrati” dal nostro organismo.

Proprio per la sua potentissima azione di stimolo delle cellule T citotossiche (veri e propri killer che devono essere attivati solo contro specifici bersagli), la produzione ed il rilascio di IL-6 sono processi finemente regolati e molto transienti; quando, per qualunque ragione, IL-6 è prodotta a livelli insufficienti, le infezioni virali non possono essere controllate, e per esempio, nel caso dei virus respiratori come quello influenzale, si può avere un’alta proliferazione virale. Nel tentativo di contenerla, si ha l’infiltrazione nel polmone di ulteriori cellule del sistema immune ed il rilascio di ulteriori citochine, che portano ad un danno infiammatorio esacerbato, il quale può causare anche la morte dei pazienti.

Quando invece la produzione di IL-6 è troppo alta o non si spegne per tempo, insorgono infiammazioni molto pericolose, che portano a diverse patologie. Questo è il caso del coronavirus che induce la SARS – ovvero di un parente stretto del coronavirus che ha procurato l’attuale epidemia (chiamato non a caso SARS-CoV-2).

Ma perché un coronavirus dovrebbe indurre la produzione di IL-6, che come abbiamo appena visto attiva proprio le cellule T citotossiche, in grado potenzialmente di eradicare il virus? Il punto è che IL-6 ha, tra le sue capacità, anche quella di inibire il processo di presentazione degli antigeni virali (detto priming) che porta proprio allo sviluppo delle cellule T citotossiche.
Il virus della SARS, in particolare, scatena la produzione di IL-6 proprio nelle cellule che infetta e nei tessuti circostanti, perché una delle sue proteine costituenti (la proteina N, il mattoncino con cui è costruito l’involucro sferico del virus) è in grado di legare il DNA delle cellule umane proprio a livello del gene che comanda la produzione di interleuchina 6, accendendolo e attivando appunto la produzione di tale citochina.

A questo punto, dovrebbe essere chiaro che, a livello dei polmoni dei pazienti infetti da virus SARS, si ha un’alta produzione di IL-6, che da un lato favorisce il virus evitando che le cellule T citotossiche si attrezzino specificamente per la sua produzione, e dall’altro, esercitando le sue azioni pro-infiammatorie meno specifiche, contribuisce a scatenare quella che si chiama “tempesta citochinica”, la quale, causando un’infiammazione severa e incontrollata, provoca il danneggiamento dei polmoni.

Vista la loro stretta similitudine, c’è da aspettarsi che anche il virus che sta causando l’attuale epidemia di COVID-19 (cioè il virus SARS-CoV-2) possa scatenare meccanismi simili; e non è un caso che, come riportato in un editoriale di cui sono coautore, anche nei polmoni dei pazienti presintomatici si osservano i primi segni di danno infiammatorio molto serio.

Un obiettivo terapeutico, quindi, potrebbe essere quello di bloccare l’attività eccessiva delle IL-6.

Si dà il caso che un farmaco già presente sul mercato, un anticorpo monoclonale (cioè un anticorpo prodotto in laboratorio dall’uomo, ottimizzato per legare un bersaglio di interesse) chiamato Tocilizumab, funziona nell’artrite reumatoide – altra patologia infiammatoria in cui IL-6 gioca un ruolo importante – proprio bloccando il legame di questa citochina con il suo recettore IL-6R. In sostanza, come illustrato nella figura di seguito, l’anticorpo monoclonale rappresentato da una sorta di Y violetta nella figura; una rappresentazione molto più realistica è nella figura in testa a questo post) lega il recettore con affinità maggiore della IL-6, così impedendo alla citochina di esercitare la sua azione.

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L’anticorpo monoclonale, attualmente in commercio principalmente per il trattamento dell’artrite reumatoide (ove IL-6 è appunto presente in ececsso, come nel caso del coronavirus), è stato identificato fra i possibili candidati per la mitigazione dei sintomi di COVID-19 dai ricercatori cinesi, che ne hanno avviato il 10 febbraio la sperimentazione in un trial su 188 pazienti; è stato, intanto, già approvato fra i trattamenti ammessi in Cina per combattere la malattia.

I ricercatori cinesi hanno informalmente comunicato che, su circa una ventina di pazienti trattati, si sono osservato ottimi risultati; per la valutazione definitiva bisogna aspettare la fine del trial, prevista per il 10 maggio prossimo.

Su un paio di pazienti napoletani in condizioni gravi, si è osservato un miglioramento della sintomatologia, dopo una sola infusione ed in pochissimo tempo.

Se dovesse risultare efficace (e lo sapremo anche grazie ad i ricercatori ed ai clinici Italiani, che stanno collaborando con il gruppo cinese per allargare la sperimentazione in Italia), il trattamento servirà a mitigare (e di molto) i danni polmonari nei pazienti con sintomi gravi, presumibilmente evitando una non trascurabile frazione di morti.

Ad oggi, possiamo osservare ai risultati che i ricercatori italiani stanno ottenendo con cauto ottimismo, sulla base di un razionale solido che ci induce a ben sperare.

In attesa che il Ministero della Salute e AIFA autorizzino una sperimentazione in tutta Italia, inoltre, conviene guardare ai dati della Cina; appuntamento il 10 maggio per la conclusione del loro clinical trial.


Enrico Bucci

Data lover, Science passionate, Fraud buster (when lucky...)

9 pensieri su “Alla ricerca di una cura – parte 2

  1. Alla ricerca della “Parte 1” dell’interessantissimo contributo. Qualche dritta? Grazie.

  2. Hai mica anche qualche notizia sugli ARB quali il losartan. Ho letto diverse cose ma sono andato nel pallone si trova tutto ed il contrario di tutto.

  3. Desidererei anch’io avere qualche notizia sull’utilizzo dei sartani per contrastare il Covid-19. Ho letto notizie contrastanti sul BMJ

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